Oggi sono incazzato a pece. È un giorno di riposo rovinato dalla frusta negriera.

L’unica forma di violenza che conosco, concepisco, che ammetto e che giustifico è la rivoluzione, la guerra intestina.

Non sono comunista (qui lo scrivo e qui lo nego), non sono fascista, forzista o nazionalista (qui lo scrivo e qui lo nego), non sono anarchico, apartitico o apolitico e quantomeno un verde (qui lo scrivo e qui o nego), non sono neppure un politologo e so di essere ignorante, ma l’ingiustizia andrebbe repressa con qualunque espediente.

Odio la disperazione, questo anfratto gigante del mondo e della vita, odio la pecunia e il dolore. La pace non esiste.

Oggi è un giorno da prendere a capate in faccia, ho fatto la doccia di un’ora evitando di morire sotto l’acqua, mi piace nascondermi nel vapore, mi sento al sicuro.

In verità mi sento al sicuro anche dietro una penna, oppure a casa dei miei, sotto il tappo di un barricato, mi sento protetto quando penso senza parlare e scrivo tutto ciò che non direi.

Ad esempio. Alla bellezza. Siete mai riusciti a improvvisare una sola sillaba quando vi guarda e vi scolpisce gli occhi?

Io resto muto.

Sul fondo dell’anima si appiattisce una sorta d’innaturale sofferenza, vibrano pensieri nella testa mentre in gola le parole in prima linea muoiono dietro una lingua immobile.

La osservo, mi capita di incrociarla di tanto in tanto e resto muto, un imbecille con l’espressione n° 13 del manuale del perfetto idiota.

Cappelluti la penna che mi hai regalato scrive una meraviglia, peccato solo che nel palazzo ci sia una donna ad urlare un dialetto incomprensibile, farei meglio ad andare nell’altra camera, ma è fredda.

Vorrei poter cambiare aria voltando semplicemente pagina, alzare lo sguardo dal foglio e ritrovarmi in un altro luogo, all’inferno magari, nel tentativo vano di trovarla anche lì, mi conosco.

Scrivo senza sapere cosa dire, attendo a breve una citofonata non programmata ed il libero abbandono è soffocato in partenza, dirottato subito dopo il decollo.

Al suo cospetto qualsiasi gesto resta stupido, un esempio di teatrale goffaggine, è un’opera d’arte impunita dove le metafore per descriverla non bastano mai, le parole si accartocciano banalmente.

Quando l’amore diventa sentimento in disappunto, un piacere amaro al sapore di freddo e grappa io penso a te, alla bellezza che manifesti e alla grazia che l’addolcisce, i miei occhi meritano brutte abitudini.

Oggi è un giorno che sa di grano sotto la neve, un tramonto immaturo alle nuove sillabe, è un andamento immotivato di vita, è un abbandono senza rifugio, un ricovero alla buona.

È un giorno da narrare in silenzio, senza usare pause o trattenimenti emotivi, è una cornice vuota, una giornata bieca, un ricordo da cancellare, un cielo da seppellire.

È freddo, il buio illumina la mia stanza chiusa e un po’ di rancore entra in camera passando sotto la soglia della porta.

I miei pensieri non trovano ordine, le parole le suggerisce la penna, guardo il mondo dietro una tapparella abbassata e lo osservo ad occhi chiusi.

Se allungo il braccio per toccare qualcosa quel che afferro è solo aria, suppongo sia profumata, muschio bianco, il mio cuore ha il sapore di soffritto bruciato.

L’amore è pubblico delirio, una crociera in montagna, un sipario trasparente che si affaccia all’anima, è un capolavoro incompiuto.

Fuori la finestra infuria l’inverno, la stagione che gela tutto tranne i sentimenti, avrei preferito perdermi d’estate, sempre di notte, ma d’estate.

Comunque buena vida.

Masa